Tananai e lo specchio del pop

“Calmocobra” rappresenta, nel bene e nel male, lo standard italico vincente per il modo di scrivere, produrre e promuovere una musica destinata a un pubblico giovane. L’album oscilla tra segni di maturazione e momenti adolescenziali.


Per capire chi è il Tananai di oggi bisogna partire dalla intro dell’album che si chiama “Fango”, ottimo spunto per un brano che nella sua brevità muore un po’ lì, scritto nel periodo in cui Tananai aveva deciso di fermarsi dopo due anni frenetici, per ricordarsi cosa conta davvero nella vita e conoscere se stesso, la persona che è diventato.

C’è un tempo per correre e uno per fermarsi a riflettere, per questo è stata importante la presa di posizione sua e di altri colleghi (vedi Sangiovanni, Mr.Rain e Ghemon) nell’affermare il diritto che ogni artista ha di fidarsi solo della propria ispirazione e non della fretta di apparire ed essere sempre presente nel business musicale.

Questa pausa è servita a Tananai per darsi una quadrata a livello artistico, migliorare vocalmente e rendere più omogenea la sua proposta musicale, prima altalenante tra follie giovanili e ballate classiche malinconiche.

Con lui in questa nuova avventura ci sono i fedelissimi autori Davide Simonetta e Paolo Antonacci (che qui si firma Paolo Santo), i produttori Michelangelo, Okgiorgio con la supervisione artistica di Stefano Clessi.

Se in “Tango”, il brano della sua svolta sanremese, Alberto Cotta Ramusino in arte Tananai riusciva a mettere un faro sulla cruda realtà della guerra pur raccontandoci una storia privata e diventare trasversale anche come target di ascoltatori, in “Calmocobra” sembra più soffermarsi su se stesso con la volontà di stare coi piedi per terra, per tenere fede all’espressione che il suo produttore gli rivolgeva, per non fargli montare la testa.

Le storie di Tananai rimangono principalmente ancorate all’adolescenza, il suo mondo oscilla tra l’itpop autoriferito alla Calcutta e quell’immaginario anni ’80 che abbiamo già ampiamente incrociato nelle canzoni di Annalisa, con la quale ha condiviso la gloria estiva della fortunata e accattivante “Storie brevi”.

È un Tananai citazionista, da una strofa intera di “Non me lo so spiegare” di Tiziano Ferro in “Punk Love Storia”, a frasi come “Siamo belli e pesanti come i film di Pasolini” in “Vaniglia”, il trionfo della rima figli/conigli, briciole nel letto e persino Fiordaliso, per non parlare di “Radiohead”, al servizio di un pop che parla in realtà di amicizia e di serate passate in compagnia.

In “Booster” affiora quella nostalgia giovanile ricorrente nel canzoniere italiano ormai dai tempi degli 883, “Guarda cosa hai fatto” racconta un triangolo amoroso.

Conosciamo già “Ragni”. un pezzo “scuola Cremonini” ben scritto, così come la ballata anni 2000 “Veleno”, rimangono su quell’andamento anche “Androne”, girandola di esempi e metafore it-pop e la romantica “Nessun confine”. Il livello di orecchiabilità è altissimo, le citazioni e i giochi di parole sono un mezzo a volte efficace a volte logoro per arrivare a tante persone con storie semplici.

La sua musica, usando un’espressione mutata da “specchio dei tempi”, è un po’ uno “specchio del pop” italiano, che ha il tabù della lettura “sociale”, si rifugia nel privato e negli amori adolescenziali, una sindrome da Peter Pan che se trova così tanto seguito è perchè evidentemente si trova nel DNA dei nostri “giovani adulti”, oltre a fare breccia nei giovanissimi, anche se a scrivere e raccontare queste storie è un quasi trentenne.

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Fabio Alberti

 

 

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