Il mestiere dei Coldplay

“Moon music” è il ruffiano distillato dello stile recente del gruppo, con un concept generico, collaboratori prestigiosi e una produzione scintillante, il tutto al servizio di un progetto pop a misura di stadi e pubblico generalista.


L’annuncio, se così lo vogliamo chiamare, di Chris Martin, secondo il quale i Coldplay in carriera non faranno più di 12 album, contiene in sè una questione che è sotto gli occhi di tutti: realizzare un album per qualsiasi artista “storico” dal pubblico vasto e consolidato è sempre di più un inutile dispendio di energie che non trova poi riscontri sufficienti, visto che i tour sono ormai l’evento al quale la gente punta, per ascoltare le canzoni che già conosce.

Un esempio lampante ce l’abbiamo avuto con “Everyday Life”, uscito nel 2019, sperimentale e con ambizioni evolutive, proprio per questo il meno ascoltato e apprezzato della loro carriera.

Il disco è stato poi seguito da “Music of the Spheres” del 2021, dove il gruppo nei singoli ha furbescamente strizzato l’occhio a teen ager e mondo delle piattaforme con le ospitate dei vari BTS e Ariana Grande, il resto è stato un naufragio senza speranza tra riempitivi ed esperimenti a dir poco irritanti.

Dopo un tour dai numeri strabilianti con un record assoluto di presenze, grazie al loro inattaccabile repertorio e alla capacità di creare eventi spettacolari, “Moon Music” è un disco figlio della nostra epoca, dove comunicazione e arte sono sempre più strettamente collegate, e spesso la prima è più importante, il tutto con l’aiuto del Re Mida svedese del pop Max Martin, Davide Rossi agli arrangiamenti orchestrali, il produttore John Hopkins e il grande Brian Eno.

L’intro di piano e l’atmosfera familiare dell’omonima “Moon Music” lanciano le già note “feelslikeimfallinginlove” e “We Pray”, un brano che li porta sul terreno pop epico alla Imagine Dragons, realizzato insieme alla talentuosa rapper britannica Little Simz, Burna Boy e Elyanna & Tini, con tra gli autori persino Jay-Z., in una preghiera collettiva per costruire un mondo in pace e solidale.

“Jupiter”, che ha tra gli autori il secondogenito Moses Martin, richiama “Viva la vida” cosi come “Iaam” (I am a mountain) ricorda “Charlie Brown”, portando avanti l’inconfondibile “marchio Coldplay”.

“Good Feelings” è un bel funk ballabile con nientemeno che Nile Rodgers (Chic) tra i compositori e lo zampino dei “vecchi amici” Chainsmokers alla produzione oltre alla collaborazione di Ayra Starr, e Victoria Canal, cosi come “Aeterna” ci fa ballare in pieno stile EDM.

“Neon Forest, Angel Song” e la conclusiva “One world” con Brian Eno al piano sono i brani cosmici e intimi che più ci fanno immaginare il viaggio dalla terra alla luna, mentre “All My Love” si appresta ad essere la canzone più dedicata ai matrimoni e forse l’unico brano all’altezza dei loro classici.

Non entriamo volutamente nel tema del concept, piuttosto generico, generalista da applausi facili e scontati, dedicato all’amore universale che tutto risolve e allontana le guerre, in linea con il loro dichiarato impegno ecologista.

I brani di “Moon Music” sono realizzati e prodotti formalmente molto bene, perfetti per fare da intermezzo, senza disturbare o stridere troppo, tra i loro classici nei concerti, tutte le altre intenzioni si perdono o rimangono sullo sfondo.

Mentre ascoltavo l’album mi ronzava in testa la frase di Salmo “Sono diventato tutto ciò che ho sempre odiato e mi piace”.

Può essere un accostamento azzardato, ma i Coldplay in 25 anni di carriera, da ragazzi schivi che con sobrietà e semplicità riuscivano ad emozionarti, sono diventati bravi affabulatori da stadio, realizzatori di spettacoli unici in questo senso e non c’è nulla di male, non è una qualità da tutti.

Al prossimo tour allora, che quello si, probabilmente, passerà alla storia, mentre qui siamo nell’ambito dell’onesto e medio intrattenimento.

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Fabio Alberti

 

 

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