Caravaggio la verità della luce

Fino al 6 Ottobre di quest’anno, presso la Pinacoteca dell’ex Monastero di Santa Chiara a Catania, è possibile visitare la mostra organizzata dal comune, dall’associazione MetaMorfosi e da Demetra Promotion.


L’esposizione, inoltre, ha permesso di inaugurare, dopo un restauro, proprio la Pinacoteca. Le opere in mostra sono in tutto trentacinque, e riguardano non solo Caravaggio, ma anche altri grandi pittori quali i fratelli Carracci, Mattia Preti, Guercino, il Cavalier d’Arpino, Matthias Stom e uno dei maestri del pittore lombardo, ossia Simone Peterzano, oltre a varie attribuzioni caravaggesche, e a diversi altri dipinti.

Il percorso espositivo, si articola in due spazi in cui, accanto ad ogni opera, oltre alle classiche didascalie possiamo notare anche delle targhe, che approfondiscono alcune opere, o forniscono variegate informazioni. Tra l’altro, sono presenti, nelle superfici in cui sono appesi i quadri, altri  testi informativi di varia natura.

Questa mostra, espone per la prima volta in Italia un opera di Caravaggio che aveva avuto un’unica esposizione al Louvre, nel 1950, vale  a dire  “San Sebastiano” del 1606. Quella di Catania, è la prima tappa, che in seguito toccherà Seul e Basilea.

Volendo descrivere brevemente la figura di Caravaggio, egli nacque a Milano nel 1571, come detto il primo maestro che ebbe, fu uno dei pittori di questa mostra, Simone Peterzano, e  le prime grandi commissioni le fece con il Cardinale Francesco Maria Del Monte, e tra le opere che dipinse abbiamo: Concerto, Giocatori di carte, Buona ventura, Suonatore di liuto, la Santa Caterina, la Medusa e forse il Bacco.

Attraverso questo cardinale, il Caravaggio entrò in contatto con diverse importanti famiglie romane: I Barberini, i Borghese, i Giustiniani, i Patrizi e  i Mattei. Sempre attraverso Del Monte, l’artista milanese ottenne la commissione per decorare la Cappella Contarelli, di San Luigi dei Francesi a Roma, nel periodo 1599-1602.

In seguito, Caravaggio si spostò verso Napoli nel 1607 dopo il famoso delitto del Tommasoni, e a Malta, in cui dovette fuggire in tutta fretta rincorso da alcuni emissari dell’Ordine dei Cavalieri. Difatti, l’ultimo periodo della sua vita, è caratterizzato dalla fuga, passò da Siracusa, Palermo, Messina e di nuovo Napoli e da lì, dopo altre peripezie giunse a Porto Ercole dove, malato, morì nel 1610.

Citando altre opere del maestro, vi abbiamo: La Cena in Emmaus (1601), San Matteo e L’Angelo (1602), Vocazione di San Matteo (1599-1600), Giuditta e Oloferne (1599), il Bacco (1596-1597), la Madonna dei Palafrenieri (1606), Davide con la testa di Golia (1610), Morte della Vergine (1606), i bari (1594), Madonna dei pellegrini (1606), il Ragazzo morso da un ramarro del 1596, la Cattura di Cristo del 1602 e appunto il San Sebastiano, presenti nell’esposizione.

Volendo approfondire proprio questi ultimi tre lavori, l’opera del 1596 ha le dimensioni di 65,8x 52,3 cm, è un olio su tela e vi è raffigurato un giovane, probabilmente il pittore stesso, che si accinge a prendere dei frutti maturi ma viene morso da un lucertola, che appare tra le foglie, e fa questa tipica smorfia di dolore, oltre alla frutta, in primo piano possiamo notare un ampolla piena d’acqua, con un fiore dentro.

I temi principali di quest’opera sono  l’espressività, il naturalismo, il contrasto tra la giovinezza e il dolore inaspettato che fanno riferimento alla brevità della vita, al senso del male, ai pericoli che si nascondono nei beni terreni, che all’apparenza possono sembrare molto eccitanti. La Cattura di Cristo, raffigura un Cristo rassegnato, secondo le caratteristiche francescane di abnegazione e obbedienza, questo è dovuto a Gerolamo Mattei, cardinale committente del dipinto, che ne suggerì l’iconografia  e il soggetto.

Inoltre, secondo il critico d’arte Roberto Longhi, la figura all’estrema destra del dipinto potrebbe essere  un ennesimo autoritratto di Caravaggio, molto presenti nelle sue opere, e secondo un altro critico, Maurizio Marini, sempre lo stesso personaggio potrebbe rifarsi a Diogene, che continua perennemente la sua ricerca della redenzione e della fede.

Il San Sebastiano, invece è rappresentato attraverso un modello di ragazzo proveniente da una nobile famiglia, le due figure ai lati, erano degli ex detenuti. La particolarità di quest’opera, è il fatto che Caravaggio fotografa un momento reale, attraverso la luce, e rispetto ad altri San Sebastiano, qui c’è l’attimo esatto, reale appunto, dell’evento.

Volendo fare approfondimenti su alcuni altri artisti presenti, di particolare interesse è il suo maestro Simone Peterzano, nacque a Venezia all’incirca nel 1535, e iniziò ad affacciarsi al mondo artistico proprio in questa città, negli anni cinquanta del cinquecento, in seguito si trasferì a Milano a partire dagli inizi del 1570, dove si fece subito notare con gli affreschi nella chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore, precisamente realizzati nel 1573, dove si può vedere l’influenza di artisti del calibro di Paolo Veronese e del Tintoretto, altre opere, sempre realizzate in questo periodo sono “Storie di Santi Paolo e Barnaba”, nella chiesa di San Barnaba, e ancora la “Pietà” e la  “Pentecoste”.

Peterzano, il suo culmine artistico, lo raggiunse con la realizzazione dell’affresco del coro, e del presbiterio nella Certosa di Garegnano, dove possiamo vedere il variegato e  imponente cromatismo veneto che si fonde con il rigore e la severità, che caratterizzarono il clero milanese sotto Carlo Borromeo.

Descrivendo un po’ l’opera della mostra, ”Presentazione di Gesù al Tempio”, le caratteristiche dette prima si possono ben vedere, infatti notiamo il classicismo architettonico del Veronese, e le innovazioni di Tiziano, oltre alle espressioni armoniose di Paris Bordon, la “banale” composizione inoltre si rifà al clima di Controriforma promosso proprio dal cardinale Borromeo, e questo porta  a una rappresentazione tranquilla, pacifica, caratteristica e duratura nel tempo, e ciò avrà un peso nel Caravaggio.

Un altro grande pittore presente qui è Il Guercino. Nato a Ferrara nel 1591, ebbe una formazione provinciale, col passare degli anni, cerca di rifarsi sempre più al gusto di Tiziano, sviluppando il proprio linguaggio pittorico che si contraddistingue sia per il tocco, che per le grandi macchie di colore brillanti e liquide.

Tra le opere realizzate, vi abbiamo: ”Madonna e santi”, “Vestizione di San Guglielmo d’Aquitania”, “Seppellimento di santa Petronilla”, “il figliuol prodico”, “Sansone catturato dai Filistei” e “l’affresco dell’Aurora”, realizzato in una sala del Casinò Ludovisi di Roma.

L’opera di Catania si chiama “Erminia ritrova Tancredi ferito” del 1619,  e raffigura questa Erminia, che  era la principessa di Antiochia, che cura Tancredi, dopo che si era ferito combattendo contro Argante. Nell’opera c’è una forte emotività, notabile  in Erminia che si lancia tra le braccia di Tancredi, accanto a lui, abbiamo Vafricano, con la mano sulla sua ferita. Dal punto di vista cromatico troviamo l’ocra, il bordeaux e il blu scuro, che conferiscono grande angoscia alla scena. Molto particolare è anche l’effetto chiaroscurale naturale sul volto di Vafricano, che fa trasparire quell’espressione di dolore “fermo”.

Crediti fotografici Dario Salanitro

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