Fontaines D.C., tra realtà e immaginazione

“Romance” apre una nuova fase per la band di origine irlandese ma ora cittadina del mondo e aperta verso un approccio pop senza tradire le proprie origini. 11 tracce sognanti per un disco a tratti inafferrabile.


L’amore può essere un luogo? Quanto può essere distopica la vita di un artista? A queste ed altre domande cercano di rispondere cinque ragazzi dublinesi che, in soli cinque anni, sono passati da band indipendente autoprodotta a realtà acclamata a livello mondiale con una responsabilità sulle spalle non da poco: quella di rappresentare il volto contemporaneo del rock.

I Fontaines D.C. sono arrivati fin qui partendo da “Dogrel” (2019), un disco punk folk rock scarno e sorprendente per ragazzi appena ventenni che raccontavano la loro cruda realtà, “A Hero’s Death” (2020) affrontava il distacco dall’Irlanda e abbracciava l’oscurità, “Skinty Fia” (2021) era un saggio sonoro e ancora più maturo sulla loro diaspora e del loro essere ormai londinesi d’adozione. “Romance” è aperto a diverse influenze ed è frutto dell’ambizione spudorata di arrivare a più persone possibili mantenendo la propria identità di gruppo.

I riferimenti ad altri artisti per la prima volta sono evidenti nella loro musica (Lana Del Rey, NIck Cave, R.E.M. tra i tanti) ma sarebbe riduttivo limitare l’approccio al disco con l’infinito giochino dei rimandi e delle somiglianze se prima non si inquadra il senso e il contesto del progetto.

Prodotto da James Ford, già al lavoro di recente con Blur e Arctic Monkeys, che ha preso il posto del loro scopritore Dan Carey, “Romance” è un disco dove i ragazzi indossano maschere necessarie per indagare il confine tra realtà e finzione senza vergognarsi di essere a volte più pop e levigati nei suoni, ma anche disperatamente oscuri e romantici nei testi.

La traccia “Romance” che apre il disco parla dell’amore come di un luogo al quale non si ha accesso, ma che tutti noi cerchiamo di raggiungere, di toccare, mentre la già nota “Starbuster” parla di attacchi di panico, spesso dovuti al non sentirsi all’altezza delle aspettative. L’epica “In The Modern World”, ispirata al film “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino, racconta la sensazione di amore ritrovato in un mondo decadente, ed è forse il miglior biglietto da visita dei Fontaines D.C. di oggi.

Dalle più tirate “Here’s The Thing” e “Death Kink”, alle acustiche e più ispirate “Bug e “Motorcycle Boy” fino alla psichedelica “Sundowner” e la cinematografica “Horseness Is The Whatness”, la sensazione all’ascolto è sempre sfumata e indecisa, come se ci trovassimo immersi in un sogno che non ci permette di razionalizzare un giudizio netto.

Chiude le tracce l’accattivante britpop di “Favourite”, mai come stavolta adatta a cavalcare l’airplay radiofonico.

Il cantante Grian Chatten, presentando il disco, ha detto di sentirsi, nel suo ruolo di artista, come un pinguino che vive in un acquario e che noi osserviamo dall’altra parte del vetro, tutto sembra irreale ma tremendamente necessario, un mondo che noi stessi nella vita ci creiamo per meglio affrontarla.

Sembra quasi una citazione marzulliana, ma la musica è come un sogno, ed è proprio nei sogni che meglio si esprime se stessi. Far musica ed esibirsi permette ai Fontaines D.C. di sognare restando svegli, e la gente ai concerti vedendoli sognare si sente liberata.

“Romance” forse non è quel capolavoro di cui molti oggi si riempiono la bocca, ma ha un fascino magnetico che lo rende a suo modo unico e inafferrabile, perchè ci regala quel mix di felicità e tristezza che solo ha musica ha il potere di darci o come un film dal finale aperto che ci lascia perplessi ma con tante emozioni sulla pelle.

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Fabio Alberti

 

 

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