21esimo Festival del Cinema Europeo: omaggio ad Olivier Assayas

Nella prestigiosa manifestazione che quest’edizione ha compiuto il suo 21esimo anno, l’ospite europeo è stato il regista francese Olivier Assayas, rinomato autore di pellicole quali “Sils Maria”, “Personal Shopper” e “Il gioco delle coppie”.


Nel corso della sua presenza (seppur virtuale tramite Zoom), Assayas ha dato un grande contributo nel raccontare il suo lavoro, e soprattutto la sua esperienza durante gli anni sessanta (in piena esplosione del maggio francese nel 1968) e della sua formazione cinematografica, avvenuta prima attraverso la televisione, e successivamente col fermento culturale parigino negli anni universitari.

Un primo incontro, moderato dal critico cinematografico Massimo Causo, insieme alla giornalista e parlamentare Luciana Castellina, ha permesso ad Olivier di parlare del suo film “Qualcosa nell’aria” (Après Mai), vincitore nel 2012 del premio per la migliore sceneggiatura alla 69esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia.

Massimo Causo: Vorrei che raccontassi brevemente l’origine di questo film, e che cosa ha significato per voi (riferito anche alla Castellina).

Olivier Assayas: Ho fatto questo film che era il più autobiografico, avevo l’impressione di aver raccontato i momenti più oscuri degli anni 70′. Volevo fare un film che raccontasse il lato più luminoso di quel periodo. Io avevo 13 anni nel 1968, ed era il periodo in cui ero attratto dalle arti, e volevo fare un film che rappresentasse l’amore e la liberazione nella vita quotidiana. Era un momento chiave molto forte attraverso la Storia, ed evidentemente ho chiamato questo film in italiano “Dopo maggio”, anche se la traduzione effettiva poi è stata diversa. Non è un film che parla dal 68′, ma parla del modo in cui è stata vissuta la fede della trasformazione dei momenti vissuti, e volevo trasmettere alla gioventù un’immagine più vera. Ho fatto un film autobiografico, collettivo, ma allo stesso tempo un film storico, che ho provato a fare con un certo rigore, su un qualcosa che ho vissuto in questo periodo.

Luciana Castellina: Questo film aiuta a capire meglio il 1968, e la sua felicità trasmessa da quel momento in poi. L’anno scorso ho scoperto che gli studenti dell’Università di Lecce, non sapevano che il loro stesso istituto era stato occupata già dal 1967, e che il Partito Comunista Francese sapeva che rientrava tra le Università già occupate. Quell’anno è stato presentato come una rivolta contro il professore troppo severo o il papà troppo rigido, ma non era così: era un qualcosa di più serio. Il 68’ ha rappresentato una critica molto feroce alle contraddizioni della modernità. La Francia e l’Italia sono state molto diverse, e il rapporto con gli operai è stato pieno di conflittualità, ma al tempo stesso molto proficuo. E’ stato un fenomeno storico molto importante in un momento particolare in tutto il mondo. Anche in Argentina e nei paesi dell’Est Europa ha avuto un suo eco, e in Italia è stato particolare perchè la classe operaia era molto politicizzata. La libertà deve venire dall’uguaglianza della società. La delusione in Francia c’è stata ma è stata più precoce, e i sessantottini hanno raccontato che è stato un momento molto felice della loro vita per la presa di consapevolezza

Olivier Assayas: Se si parla del maggio 1968, si fa riferimento ad un movimento che viene da molto lontano, si parla della scuola di Francoforte, del situazionismo, dell’ultrasinistra anticomunista e antistalinista. I sindacati controllati dal Partito Comunista Francese erano spaventati per la rivolta della gioventù, perchè c’era questa volontà di ridefinire i valori rivoluzionari di un marxismo moderno. Si voleva trasformare la struttura più profonda dei valori della società, e in questo senso la fine del dopoguerra e l’inizio dei tempi moderni, è stata una cosa criticata e non capita dai comunisti più vicini all’ Unione Sovietica. Io ho un ricordo molto lieto e luminoso del maggio 1968, proprio perché c’era questo sentimento di libertà, ma successivamente alcune scelte radicali hanno cambiato tutto.

Luciana Castellina: Nel 1968/69 il Manifesto è stato radiato dal Partito Comunista proprio per le idee diverse dal comunismo. L’arrivo della sociologia americana e un’interpretazione diversa del marxismo hanno fatto la storia. C’è stata una deriva negli anni 90’, ma i temi del comunismo sono rimasti, nonostante tutto.

Successivamente nella Masterclass pomeridiana ha esordito il Direttore del Festival Alberto La Monica con un sentito ringraziamento al Maestro Olivier Assayas per la sua presenza, anche se “virtuale”, e ha partecipato al confronto anche un altro grande Direttore artistico: Alberto Barbera, della Mostra del Cinema di Venezia, felice di poter salutare “virtualmente” Olivier, che non vede da settembre 2019, con la presentazione del suo ultimo film, “The Wasp Network”.  Per la manifestazione, Massimo Causo ha curato la retrospettiva di sei dei suoi film, da poter sottoporre alla visione del pubblico con la piattaforma on demand.

Alberto Barbera: Amo profondamente il cinema di Olivier, che saluto con grande curiosità e affetto, e non è facile collocare il suo stile tra la rivoluzione estetica della nouvelle vague, e l’eclettismo del cinema francese contemporaneo. Il suo cinema rappresenta quell’anello di congiunzione tra un’estetica omogenea e innovativa e un cinema di oggi, che sembra ricondurre ad un’unità di intenti e di indirizzi, conciliando questi mondi opposti. Forse Olivier è l’erede naturale della nouvelle vague e del cinema narrativo di Truffaut. Nello stesso tempo il suo è un cinema post nouvelle vague, con la tentazione di virtuosismi stilistici e l’amore per certe forme espressive e sperimentali. La sua arte concilia l’umanismo etico e il romanticismo di certi drammi americani, con il gusto per le improvvisazioni e la capacità di passare da film a basso budget fino a quelli con budget più consistenti come eventi storici. La chiave del suo cinema si trova in una sua dichiarazione e una certa cinefilia che prende le distanze dalla nouvelle vague. E’ un regista “critico”, di una cinefilia eclettica che rifiuta l’ortodossia, e a lui interessa indagare il tutto dal punto di vista formalistico, linguistico e contenutistico.

Olivier Assayas: Ho iniziato a girare nella post post Nouvelle Vague, in cui l’energia era già persa in ideologia del cinema indipendente, che stava perdendo la connessione reale con l’umanità, ma vi era anche la consapevolezza che dopo tutto questo c’era ben poco. I registi che facevano cinema con lui, cercavano di imitare la nouvelle vague, ma senza lo stesso effetto. L’attrazione la aveva per il regista italiano Michelangelo Antonioni. Da lui era rimasto entusiasmato per il suo modernismo, e la trasformazione in contemporaneità molto importante per lui e per tanti registi odierni. La nouvelle vague francese non ha lasciato allievi o discepoli, ma è stato inventato un modo che li ha influenzati.

Alberto Barbera: Tu sei anche il regista più internazionale del cinema francese.

Olivier Assayas: Avevo bisogno di uscire dal cinema francese per realizzare la mia identità, perché ho avuto quest’idea del cinema come esplorazione del mondo.

Massimo Causo: Assayas arriva a fare cinema partendo ad incidere completamente la realtà usando le arti plastiche e la musica. Il tuo approdo ai Cahiers du Cinema è stato atipico.

Olivier Assayas: Ho scelto il cinema perché mi permetteva di arrivare subito alla realtà. Ogni generazione ha il suo rapporto con l’immagine, e la generazione della Nouvelle Vague ha imparato il cinema andando dalla Cinematheque. La mia cultura cinematografica l’ho fatta grazie alla televisione perchè vivevo in campagna, e ho imparato la storia del cinema guardando il cineclub francese in televisione. Erano dei classici, e si vedevano delle cose che ora non si potrebbero vedere, ed evidentemente potevo vedere alcuni film al cinema che non erano proprio lontani. Quando mi sono spostato a Parigi, ho vissuto in un ambiente cinefilo dove è cresciuta la mia cultura cinematografica. La cosa più importante quando scrivevo per i Cahiers du Cinema (con cui ho collaborato per 5 anni), era la possibilità che avevo di viaggiare per i festival e vedere cose che non si vedevano in Francia. La mia prima formazione è stata nella pittura, e ho pensato che potevo coniugarla con la regia cinematografica.

Massimo Causo: Il libro saggio di Olivier è particolarmente utile, soprattutto perché oggi quando si parla di cinema tutto calato nella contemporaneità, l’assoluto presente è il focale effettivo del suo cinema. Ogni momento della sua settima arte ha un pensiero cinematografico fondamentale, e il passaggio dalla pratica alla teoria cinematografica è finito all’università facendo perdere il contatto con l’aspetto pratico del mezzo filmico.

Olivier Assayas: Quando ho cominciato a pensare alla pratica del cinema, ero in un ambiente fatto da gente che voleva diventare regista, e i Cahiers sono stati un punto di passaggio, perchè davano la possibilità di capire perchè e come volevo fare film, in una direzione definita da Andrè Bazin, teorico anche dell’impressionismo. La Nouvelle Vague era una reinvenzione cinematografica contemporanea, e in questo senso la cosa importante è la domanda essenziale sulla percezione: l’arte serve a ridurre la complessità del reale. Anche se ho una cultura cinematografica raffinata, voglio catturare qualcosa di essenziale nel mondo. Penso anche il cinema di Pier Paolo Pasolini, che aveva il fascino per il reale in un cinema di pure invenzione, così visceralmente intricato nelle cose più profonde. E’ stato molto importante per me e continua ad esserlo. Non credo che il cinema debba essere prodotto da una storia del cinema, ma da qualcosa che insegni a guardare il mondo.

Massimo Causo: L’immagine più emblematica del suo cinema è in “Irma Vep”.  Come si fa carico di un personaggio “immagine” che diventa una visione classica?

Olivier Assayas: “Irma Vep” è un film di riflessione sul cinema, quasi un saggio con una maschera di commedia e mi ha riconciliato con il mio passato. Ad un certo punto posso accettare tutta questa roba come parte di me. E’ stata una cosa che mi ha aperto tanti nuovi spazi. Quando lavoro con i tecnici loro sanno come portare a termine il lavoro; a differenza loro io provo a “dimenticare” come si fa e rischiare di fare qualcosa di nuovo.

Massimo Causo: Un tema che mi incuriosisce parecchio è caratterizzato da una sorta di frenesia, uno stare addosso ai personaggi. Questo arrivare sul set sapendo di non saper fare, come si può coniugare con questo decoupage in presa diretta?

Olivier Assayas: Quando ho fatto “L’eau froide”, credevo nei film “controllati”, e Robert Bresson è stato uno dei cineasti del controllo che mi ha influenzato, ma ad un certo punto questa cosa del controllo, l’ho trovata noiosissima, lasciando andare la sua idea, e ho potuto inventare sul set delle scene nuove, anche se in quel film non ho lasciato molto gli attori improvvisare. Questo linguaggio degli anni 70’ era ancora più estraneo, e vi era ancora meno spazio per un linguaggio dimenticato. Quando ho fatto “Irma Vep”, mi sono ricordato che ho potuto improvvisare, ed è stata una cosa che ho continuato a fare. Nel film “Carlos”, prodotto dalla televisione, io non facevo più prove, ma spiegavo semplicemente agli attori e ai tecnici quello che dovevano fare e giravamo, e se qualcosa non funzionava, inventavo di nuovo. Il mio cinema è il contrario di un cinema di storyboard, un cinema “preparato”, faccio delle riprese con movimenti molto lunghi, le cose prendono la loro forma nel fare.

Massimo Causo: Visto che lei si era formato proprio come sceneggiatore, il suo processo di scrittura è cambiato nel tempo?

Olivier Assayas: Io ho imparato a scrivere sceneggiature e poi mi sono dimenticato come si fa (ride). Ora le mie sceneggiature assomigliano al teatro, nel senso che c’è pochissima indicazione, c’è solo il dialogo, non c’è descrizione dei posti, perché io so che quando inizio a lavorare sul film, vado a scoprire i sopralluoghi che mi ispirano. Non voglio chiudere, e la sceneggiatura deve essere aperta, un punto di inizio per qualcosa di molto più complesso e ambizioso. Per questo avevo molta difficoltà a reperire finanziamenti, proprio perché le mie sceneggiature si adattavano poco al sistema di produzione.

Massimo Causo: Il suo cinema ha il tema delle figure femminili.

Olivier Assayas: Io sono sempre stato affascinato dalla posizione delle donne nella cultura moderna. All’inizio del ventesimo secolo hanno dovuto ridefinire il loro posto nella società, reinventare i loro livelli di relazione, con il lavoro, con l’arte, la riscoperta dell’identità femminile. Ciò mi ha sempre interessato, perché era al centro di come il mondo si trasformava, con la crisi dell’identità maschile. Quando sei ragazzo, hai difficoltà a ridefinire la tua identità, e oggi c’è una dinamica che ho sempre provato a ripresentare nei miei film, senza una reazione ideologica. Sono stato sempre più interessato dalla problematica femminile che da quella maschile in fase di sceneggiatura. Le donne sono la rappresentazione della vita in fase di cambiamento, e qualche volta sono spaventato da questo nuovo potere delle donne che provoca nel mondo maschile. Parlo di Donald Trump e del “machismo”, c’è quest’immagine disastrosa della mascolinità che provoca il peggio nel mondo contemporaneo.

Alberto Barbera: Ascoltare Olivier è un piacere, un privilegio e un dono. Si potrebbe stare ore ad ascoltarlo.

Massimo Causo: Mi interessa approfondire il tema del “reale” e il “virtuale”, tra la concretezza reale e la dimensione immaginaria. Penso ad “Irma Vep” e ad un film anticipatore di circa una decina d’anni, “Demonlover”, che visto oggi sembra incredibile; o “Sils Maria” e “Personal Shopper” su ciò che è reale e quello che non lo è.

Olivier Assayas: Io penso che una realtà sia differente da un’altra, c’è un reale tangibile che potentissimo, ci dà la nostra identità e il nostro mondo immaginario, dei nostri pensieri, delle nostre preoccupazioni, delle nostre memorie e dei nostri fantasmi. Il cinema ha la capacità di raccontare queste dimensioni, e tra i registi che amo, sia Ingmar Bergman che Andrej Tarkovskij, si sono confrontati con questa dualità. Nel cinema c’è la semplificazione di questa realtà, che rappresenta la fantasia e la sua dimensione, sono complementari e c’è una dialettica, fondamentale per capire questo mondo contemporaneo. Ha preso una dimensione diversa, quando la mia vita è stata invasa dalle possibilità del mondo digitale, da Internet, e dall’apertura che questa finestra ci dà sul mondo, come un prolungarsi della nostra memoria. Per molto tempo ho avuto la convinzione che il nostro rapporto al digitale sia un cambio fondamentale nella natura umana. Oggi non si può definire un individuo qualsiasi senza interrogarsi sul suo mondo virtuale, perché è una finestra sul suo immaginario. E’ qualcosa di affascinante e che veramente aiuta a capire delle cose fondamentali non solo sull’umanità moderna, sul senso universale, sulle considerazioni rifiutate dal cinema. A volte mi chiedo perché parlo del mondo virtuale; e ne parlo perché è lui che è venuto da me, mi ha trasformato e ha trasformato tutti nel funzionamento della società moderna.

Massimo Causo: Questo ci permette di fare un punto di partenza nella cinefilia. Un aspetto che lei affronta è la generazione che ha conosciuto il cinema attraverso la televisione, i cineclub, le cineteche e la generazione di oggi che lo conosce attraverso Internet.

Olivier Assayas: Io non giudico, ma appunto è ogni generazione che definisce la sua relazione con il mezzo, che non è solo generazionale, ma anche individuale. C’è anche quella specifica di un artista specifico, con il suo materiale e con la sua ispirazione del mondo. Quello che critico e che interrogo in questo saggio, è che non ci sia una forma che potrebbe aiutare giovani futuri registi a fare il loro cammino attraverso questo bosco densissimo della storia del cinema. Questo si può fare con una riflessione, con una deontologia della cinefilia, diventata molto interessante sulla riscoperta degli autori, che in mezzo a molta mediocrità, c’è una “perla” su qualche film dimenticato. Questa ricchezza dell’accesso alla storia del cinema è molto ricca e interessante, e penso sia tossico vivere unicamente ai margini di Netflix e di varie piattaforme. Un giovane regista alle prime armi, deve vedere i film che hanno importanza per lui, che possono dare qualcosa, e non solo il piacere immediato o del passaparola. C’è questa nozione di distrazione dell’approccio al cinema, che non è molto creativa, ma molto passiva. La questione dell’arte può essere divertente e profonda, ed avere una forma di eco dentro di noi. Oggi c’è quest’incertezza sul cinema che non sa come posizionarsi, a differenza di Bresson, Tarkovskij e Pasolini che sapevano dove collocarsi nella storia del cinema, ma soprattutto nella storia dell’arte. Non basta dire che la cinefilia sia una cosa bellissima; ma tante cose sono accadute e il mondo e le persone si sono trasformate. Bisogna trovare modalità in cui la teoria e la riflessione ci sono strumenti per aiutare a praticare l’arte nel modo più creativo e intenso.

Massimo Causo: Olivier è uno dei massimi registi che riesce fortemente a stare nella contemporaneità e riesco a ringraziarlo per quello che ci ha dato

Alberto La Monica ha ringraziato sia Massimo Causo per il contributo fondamentale e importantissimo, ma soprattutto Olivier Assayas per la sua encomiabile generosità nel raccontarsi. Il regista è rimasto dispiaciuto di non poter essere a Lecce e ha ricordato che la città è stata galeotta per la proposta de primo matrimonio con Maggie Cheung. Al regista è stato conferito l’Ulivo d’Oro alla carriera, e anche lui ha apprezzato la bellezza del premio consegnato, come uno dei migliori fra quelli che ha vinto.

Francesco Maggiore

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